Pubblicato Aprile 1, 2021

Ultimo aggiornamento Novembre 7, 2022 ore 01:41 pm

Informazioni Turistiche

Basilica di Siponto

Basilica di Siponto

La Basilica di Siponto

La chiesa sorge a circa 3 Km. da Manfredonia ed è un mirabile esempio di architettura romanico-pugliese, con influssi islamici e armeni.

L’edificio, che si compone di due chiese sovrapposte, occupa una superficie quadrata di circa 18 m di lato. La chiesa superiore costituisce la Basilica vera e propria.

Basilica di Siponto di Edoardo Tresoldi

Opera di Edoardo Tresoldi

Essa fu consacrata, come si legge in una lapide commemorativa, il 23 giugno 1675 dal card. Vincenzo Maria Orsini. La chiesa inferiore, o cripta, cui si accede attraverso una scalinata esterna, fu sistemata nel 1708 con i resti dell’antico e prestigioso Duomo sipontino. Così si legge in una lapide murata sulla porta.

Di particolare pregio risulta il portale, costituito da un insieme di archi, tutti finemente abbelliti a fogliame o a intagli geometrici e ben armonizzati fra di loro. Due di essi, sporgenti e sovrapposti, poggiano su mensole sostenute da colonne su leoni.

Sulle mensole due animali più piccoli. Altri due archi, incassati e rinsaldati, mostrano in tutta l’ampiezza le loro decorazioni su materiale più chiaro, conferendo all’insieme vivacità e movimento. Ai lati del portale, due coppie di eleganti arcate cieche, nelle quali sono racchiuse, ad altezza d’uomo, quattro formelle quadrate finemente scolpite. Più in alto due finestre con le cornici simili a quelle delle formelle, ma di dimensioni maggiori.

Il 12 marzo del 2016 è stata inaugurata l’imponente opera dell’artista Edoardo Tresoldi, installazione realizzata in rete metallica alta quattordici metri che ricostruisce in 3D l’antica basilica paleocristiana.

Per info: www.viaggiareinpuglia.it


Il Castello

Castello di Manfredonia

Castello di Manfredonia

Il castello di Manfredonia non è il frutto di un progetto unitario concepito fin dalla sua origine così come oggi ci appare, ma è il risultato di trasformazioni, ampliamenti e rifacimenti avvenuti in epoche diverse. In origine tutta la struttura consisteva in uno spazio quadrilatero racchiuso da una cinta muraria raccordata da cinque torri a pianta quadrata, di cui quattro poste agli angoli e la quinta ubicata presumibilmente nei pressi della porta principale di Nord-est. Tale primitivo impianto non corrisponde più alla realtà attuale in quanto della quinta torre restano solo poche tracce, mentre le altre, ad eccezione di quella posta a Sud-est, hanno cambiato la loro struttura formale. Infatti, un’opera di inglobamento avvenuta in epoca successiva, ha trasformato le precedenti strutture quadrangolari in torrioni a pianta cilindrica.

Il castello di Manfredonia si connota sotto il profilo architettonico per un’impronta di chiara marca sveva caratterizzata dalla estrema regolarità geometrica e dalla linearità delle strutture, elementi questi che lo accomunano ad analoghi modelli difensivi realizzati dagli Svevi. Ma se sul piano comparativo il Castello di Manfredonia, denuncia una evidente “facies sveva”, a livello documentario esso e da attribuire a Carlo I d’Angio. Infatti i primi documenti che parlano del Castello di Manfredonia provengono proprio dalla Cancelleria angioina e risalgono all’aprile del 1279. In essi si fa riferimento al reclutamento di manodopera specializzata per l’inizio dei lavori. Certo non e da escludere l’ipotesi che gli angioini abbiano usufruito di strutture preesistenti, riferibili a Manfredi, e che le abbiano poi inserite in un progetto più organico e definitivo.

Castello di Manfredonia

Castello di Manfredonia

Con il governo della casa d’Aragona, (1442), si assiste ad un ulteriore processo di visibile trasformazione del Castello. Negli ultimi anni del XV secolo, infatti, gli Aragonesi, all’interno di un complessivo progetto di fortificazione delle strutture difensive delle più importanti città costiere, dispongono per il Castello di Manfredonia la costruzione di una nuova cortina muraria inglobante la struttura primitiva. A queste mura viene data una leggera inclinazione a scarpa tale da renderle più rispondenti alle mutate esigenze dell’arte difensiva conseguenti all’uso dell’artiglieria.

Agli angoli di questa nuova cortina muraria vengono posti quattro torrioni cilindrici casamattati, questa volta più bassi di quelli del recinto interno, più idonei alle nuove tecniche di difesa. La costruzione del grosso bastione posto ad Ovest del Castello, denominato dell’”Avanzata” o dell’”Annunziata”, segna per l’edificio un’altra tappa nella storia della sua edificazione. Con esso l’immagine del Castello risulta finalmente essere rispondente alla realtà attuale. Il bastione, realizzato attraverso l’inglobamento della precedente torre circolare, probabilmente all’indomani dell’assedio messo in atto nel 1528 dal maresciallo Lautrec, doveva servire come elemento di difesa per attacchi nemici provenienti dalla città. Il programma di inglobamento, che avrebbe dovuto interessare anche gli altri torrioni della cinta muraria esterna, non fu portato a termine. Non ci è dato conoscere i motivi che sospesero questo programma, ma certamente su tale decisione dovette influire la convinzione che il proseguimento dell’opera di trasformazione non avrebbe comunque impedito la capitolazione del Castello di fronte ad un nemico ben armato. Nel 1620, infatti, sotto il fuoco dei tiratori turchi appostati sugli edifici più alti della città, il Castello dovette capitolare a causa anche della esiguità dei pezzi di artiglieria e perché privo di parapetti protettivi sufficientemente alti a garantire l’incolumità dei difensori.

Perso oramai il suo originario significato di fortezza difensiva, il Castello assume nel corso del XVIII secolo la funzione di comune caserma mentre il torrione Ovest del circuito interno viene adibito a prigione. Gli interventi operati in tale periodo sono diretti a rendere più funzionale la struttura per i nuovi scopi a cui è destinata. Durante il regno dei Borboni e in epoca successiva fino al 1884 il Castello viene tenuto in efficienza in quanto Manfredonia viene qualificata “Piazza Forte”. Dal 1888 fino al 1901, anno in cui l’edificio fu acquistato dal Comune di Manfredonia, appartenne all’Orfanotrofio Militare di Napoli. Nel 1968, con D.P.R. del 21 giugno n. 952, il Castello viene donato dal Comune allo Stato con l’impegno, da parte di quest’ultimo, di istituire al suo interno un Museo Archeologico per conservare i reperti provenienti dal territorio circostante.

Ginevra D’Onofrio – Elvira Saccotelli, Museo Nazionale Manfredonia

Per info: www.viaggiareinpuglia.it


San Leonardo di Siponto

Abbazia di San Leonardo Di Siponto

Abbazia di San Leonardo di Siponto

Quando si parla della badia di San Leonardo la memoria ci porta immediatamente a riflettere, a chiederci chi ne fosse l’autore, quali furono i “momenti” che ne hanno spinto l’edificazione, oltre a quelli di natura religiosa e sociale. Infatti funzionava come romitorio e ospedale per i pellegrini sin dal XII secolo: tappa decisiva anche per gli stessi crociati che si recavano alla Grotta di San Michele, a Monte Sant’Angelo, prima di partire o al ritorno dalla Terra Santa.

Il pensiero del visitatore si incuriosisce e si arricchisce di suggestioni, che aumentano man mano che si avvicina a quell’architettura di pietra dorata mentre assume, proprio durante il periodo estivo, una parzialità irreale, contribuendo così ad aumentare la sequenza di interrogativi.

Portale di San Leonardo

Portale dell’Abbazia di San Leonardo

Molto si è parlato di San Leonardo, sin da secoli scorsi, e così Emile Bertaux accenna alla “ricchezza del portale scolpito che immette nella nave di sinistra” il Lenormant pure ne descrive compiutamente lo stile; il Gregorobius scrive che “la chiesa ha una porta bellissima ed una tribuna di puro stile romanico”; Artur Haseloff la definisce: “mirabile, tutta adorna di splendidi fregi e tralci ed animali”; infine, Alfredo Petrucci nel 1921 ne descrisse ampiamente le vestigia e la analizzò nei dettagli per la sua straordinaria finezza.

Le emozioni prodotte sugli studiosi si susseguono ancora oggi, stimolando l’interesse anche del turista contemporaneo che, colto e attento, si lascia sempre più attrarre da percorsi, itinerari che vanno oltre la semplice storicità delle cose; sempre più catturare, grazie alla sete del sapere, da quegli elementi di mistero, di enigma che può suscitare una scultura, un bassorilievo, una traccia di affresco, un’architettura suggestiva.

Lo spunto ci viene dal Tomaiuoli quando afferma, parlando di San Leonardo, che tra le “realizzazioni arcitettoniche dei secoli XII-XIII esiste una sparuta minoranze di chiese con caratteristiche compositive diverse dalle coeve metodologie edilizie”, a questa minoranza, “i cui caratteri costruttivi e stilistici esprimono un mondo culturale a cavallo tra l’oriente latino (Terra Santa) ed il mondo franco che aveva come punto d riferimento il territorio della Puglia”, appartiene la nostra badia.

Orientata verso l’asse Est-Ovest, ad orientem come vuole la tradizione cristiana, diviene semplice affiancare alla simbologia sole-luce gli elementi luce-ascensione; “nella tradizione medievale il Cristo è costantemente associato al sole e chiamato sol salutis, sol invictus, e ancora sol occasum nesciens…il sole levante ha grande potenza benefica, vince la notte e le tenebre…al simbolismo del sole è strettamente connesso quello della corona di raggi o corona solare” che viene rappresentata nella volta a botte della navata centrale con un piccolo rosone che scandisce attraverso i suoi undici “petali”, il 21 giugno di ogni anno da circa 10 secoli, l’ingresso del Sole nel Cancro; né più né meno come l’obelisco sul selciato di Piazza San Pietro a Roma, come il rosone della cattedrale di Cartres, nella Francia settentrionale; e, infine, come l’architettura di Castel del Monte, affermano alcuni studiosi, sia stata dettata addirittura dalla meccanica solare, in cui il sole protagonista assoluto, col suo gioco sapiente di luci ed ombre, abbia suggerito le proporzioni del Castello.

Sicuramente era conosciuto, sin dall’antichità, il “de Architectura” di Vitruvio che ci parla, nel suo IX libro appunto, degli orologi solari e della gnomonica; come pure, era in vigore in quell’epoca, la concessione geocentrica di Tolomeo secondo il quale la terra è al centro e il Sole le gira intorno.

Il momento più suggestivo per noi è allorquando, dalle 12 alle 13 circa del 21 giugno, il raggio di sole evidenzia l’intersezione dell’asse principale della navata centrale con l’asse del bellissimo portale laterale, disegnando in senso orario, sul pavimento della chiesa, una corona luminosa.

A cura: ARCHEOCLUB d’ITALIA club di Manfredonia.
Per info: www.sanleonardomanfredonia.it


La Palude Frattarolo e l’Oasi Lago Salso

Oasi Lago Salso

Palude Frattarolo – Oasi Lago Salso

L’arcaico splendore dell’arcipelago delle paludi sipontine, esaltato da Federico II, dove stagni e canneti, tamerici e salicornie, meandri palustri, sonnecchiosi bufali al pascolo e voli di uccelli acquatici danno una visione di palpitante emozione.

Ai piedi del Gargano meridionale, in Comune di Manfredonia sulla riva sinistra del Candelaro, si estende, una vasta zona umida dal suggestivo paesaggio. Frattarolo è un pantano di 270 ettari circa sfuggito alla bonifica, fatto di stagni e di acquitrini temporanei con acque molto basse, alimentati anche dalle numerose risorgive. Sull’altra sponda del torrente Candelaro l’Oasi Lago Salso, (ex “Daunia Risi”), una riserva istituita nel 1960, che comprende 496 ettari circa di valli di caccia e pesca alternati da specchi di acqua e vasti canneti in cui nidificano gli aironi e 1300 ettari circa di campi coltivati a cereali.

Cicogne

Cicogne all’Oasi Lago Salso

Tra giunchi, salicornie, canne, tamerici, lingue di fango, isolotti, pozze e slarghi d’acqua nidificano diverse specie di aironi, il mignattaio, lo svasso maggiore, il basettino e il forapaglie castagnolo, il gobbo rugginoso e diverse specie di anatre.

La riserva ospita una delle più importanti garzaie dell’Italia centro meridionale, qui decine di coppie di garzette, nitticore (Nycticorax) e sgarze ciuffetto (Ardeola ralloides) allevano i piccoli nei nidi costruiti sugli alberi di eucalipto. D’estate le spatole frequentano le vasche meno profonde e in agosto a queste si aggiungono un centinaio di esemplari che migrano dall’Europa nord-orientale.

Eccellente stazione per il birdwatching, nella riserva è possibile osservare il volo dei falchi pellegrini, dei lanari e in autunno del falco pescatore. Sul litorale marino adiacente la riserva è possibile osservare i piovanelli, fratini, beccapesci, beccaccia di mare che si tuffano nell’acqua alla ricerca di pesci.

Il fascino della primigenia palude di Frattarolo ci viene restituito intatto in primavera, quando le tamerici in fiore esaltano la solitudine silenziosa di questa distesa pianeggiante dove una colonia di cavalieri d’Italia, lo splendido trampoliere, mostrano di trovarsi a loro agio nidificandovi. Frattarolo è la zona più rilevante del complesso lacustre dal punto di vista naturalistico: la variabilità dei microambienti, l’alternarsi di stagni di acqua dolce e di acquitrini salmastri creano le biodiversità che offrono habitat ideali per garzette, sgarze, combattenti, pettegole, pittime reali, oche selvatiche, il piro piro e il martin pescatore.

La fitta vegetazione dei canneti favorisce la riproduzione di folaghe, gallinelle d’acqua, porciglioni. Nella stagione invernale alzavole, pavoncelle, chiurli e beccaccini si librano sotto lo sferzare dei gelidi venti di tramontana. Altre specie migratorie soggiornano nei mesi primaverili la riserva: mignattaio, la spatola, la gru, cicogna nera, cigno reale, aironi, l’aquila natraia.

In queste aree vi è un’interessante presenza di rettili e anfibi: il cervone, la biscia dal collare, il biacco, la luscengola, la natrice tassellata, la tartaruga palustre, la rana verde minore, la rana dei fossi, il rospo comune, il rospo smeraldino, la raganella, il tritone.

Per Info: www.oasilagosalso.com


La Chiesa di San Domenico e la Cappella della Maddalena

Chiesa di San DomenicoLa storia della Chiesa di San Domenico e del suo Convento è legata ai primi decenni della fondazione della Città. Voluta da Carlo d’Angiò, la costruzione del Convento Regio e della Chiesa dedicata a Maria Maddalena, fu iniziata nel 1294, quando il sovrano donò ai frati predicatori un sito sul tratto costiero delle mura e finanziò l’opera con un fiorino d’oro a settimana. Distrutto durante il sacco dei Turchi e ricostruito nel ‘700, il convento, oggi sede del municipio, conserva nelle sue strutture le vestigia gotiche superstiti, come l’arco ogivale, verso il mare, murato e impostato su ricchi capitelli, il loggiato e il chiostro con il pozzo centrale.

La chiesa di San Domenico, pregevole esempio di sovrapposizioni di epoche e di stili, conserva la facciata romanica e i resti dell’antica struttura gotica, come il grande arco sul mare. Sulla facciata, si ammirano il portale ogivale adagiato su due leoni e la cornice di un rosone, all’interno si notano, nicchie gotiche e affreschi della fine del 1300.

L’abside della chiesa, divisa dal presbiterio da un muro all’altezza dell’arco trionfale, colmata di detriti e interrata, fu utilizzata come torre di avvistamento e successivamente come pertinenza del carcere. Solo nel 1895 l’ambiente tornò alla luce rivelando la sua originaria natura e gli affreschi celati sotto i detriti.

Cappella della MaddalenaDopo il restauro, all’interno dell’abside che si è voluto chiamare Cappella della Maddalena, si possono ammirare gli antichi affreschi di San Nicola, di San Domenico, dell’albero di Jesse raffigurante la Stirpe di David e l’affresco della Maddalena con la deposizione di Cristo nell’edicola.

L’allegoria dell’albero è molto sfruttata anche nella Bibbia, soprattutto con la famosa simbologia dell’albero di Jesse. II re Davide figlio di Jesse e capostipite della discendenza da cui scaturirà il Messia è spesso rappresentato mentre dorme e sogna, dal suo petto esce un albero. Nel suo simbolismo naturalistico albero, in questo caso, si presta ad evocare il mistero delle vita e della redenzione (descrizione del Leggendario di Citeaux, pag. 354 de I simboli del Medioevo).

L’albero di Jesse in questo caso diventa un albero “mariano”. E’ l’albero della chiesa universale, paradisiaco per natura. L’albero della vita celato in mezzo al paradiso è cresciuto in Maria. Uscito da Lei, ha esteso la sua ombra sull’universo, ha sparso suoi frutti sui popoli più lontani, come sui più vicini. Albero di Jesse è un albero che rimane carico dei suoi valori di sacralità naturale, ed è latore di promesse storiche divine.

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La Chiesa di Santa Chiara

Chiesa di Santa ChiaraLa chiesa originariamente annessa al convento delle Clarisse, eretto dalla gentildonna Isabella de Florio nel 1592, si apre su via Santa Chiara con due portali sormontati da due nicchie dove sono collocate le statue di San Francesco e Santa Chiara.

L’interno è costituito da una grande navata con volta a botte intramezzata da costoloni, lunette e lesene, con ricchi motivi decorativi a stucco ispirati allo stile barocco settecentesco, le pareti laterali sono scandite da tre ampi archi, con altari policromi in marmo e legno dorato.

Al centro del presbiterio c’è l’altare maggiore: sulla parete frontale, in alto, una nicchia, dalla ricca cornice, accoglie la statua in legno finemente intarsiato di S. Chiara di Assisi. Caratteristica è la cupola moresca del campanile settecentesco.

L’ex monastero, attualmente sede del seminario, ha l’ingresso su via Arcivescovado. Il parlatoio presenta una grande volta a botte e un pregevole portale barocco.

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La Cattedrale di Manfredonia

Chiesa CattedraleL’antica chiesa gotica dedicata a San Lorenzo Maiorano vescovo di Siponto (488-545), risale al XIV secolo; costruita per ospitare la Cattedra Episcopale trasferita da Siponto, custodisce dal 1327 le sacre reliquie, tra cui il corpo di San Lorenzo. Dopo il Sacco dei Turchi, che la rase al suolo la ricostruzione fu lenta. Le ristrettezze economiche portarono a una costruzione più modesta rispetto al Duomo angioino. Altri lavori vennero eseguiti nel Seicento. In particolare l’Arcivescovo Vincenzo Maria Orsini (poi Papa Benedetto XIII) riordinò le sacre reliquie, completò la facciata, fece costruire (1677) il Campanile. Negli anni ‘40 l’interno della Cattedrale è stato decorato dal pittore milanese Natale Penati e nel 1966 venne trasformata l’originaria facciata laterale nell’attuale sistemazione.

La Cattedrale conserva tre pregevoli opere dell’ arte medievale: l’icona della Madonna di Siponto, la statua della “Sipontina” e il Crocifisso ligneo di San Leonardo.

L’Icona della Madonna di Siponto donata dall’imperatore Zenone al vescovo Lorenzo a seguito delle apparizioni di San Michele, secondo un’antica leggenda, comune per molte immagini della Vergine, fu dipinta da San Luca.

“La Sipontina”, la statua lignea della Madonna con Bambino, rappresenta a grandezza quasi naturale la Madonna col bambino, in posizione frontale. E’ chiamata Madonna dagli occhi sbarrati, perché, dice la leggenda, costretta ad assistere ad un atto di violenza. Viene datata intorno al VI secolo.

Il Crocifisso ligneo di S. Leonardo è il più antico tra i numerosi Crocifissi venerati sul Gargano. L’opera risalente al XII-XIII sec. rappresenta un magnifico esempio di fusione tra la scultura d’Oltralpe e la tecnica orientale di pittura delle icone.

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La Chiesa di San Francesco

Chiesa di San FrancescoIl convento con la chiesa annessa, dedicati a San Francesco in memoria della chiesa di Siponto distrutta dal terremoto del 1223 fu edificato nel 1348 a ridosso delle mura di cinta della città dall’arcivescovo Pietro II, allorché introdusse l’Ordine dei Frati Minori Conventuali.

Con il sacco dei Turchi nel 1620 l’intero complesso fu raso al suolo. L’antica chiesa, ricostruita nel 1676 e consacrata dall’arcivescovo Orsini (Papa Benedetto XIII), ha poi subito nel corso dei secoli numerosi rifacimenti. Nel 1755 fu nuovamente ricostruita per opera dell’arcivescovo Francesco Rivera. In epoca moderna è stato demolito il muro di recinzione che congiungeva la chiesa al convento. Le facciate sono state restaurate intorno al 1932 e altri interventi sono stati effettuati nel 1950.

Il rifacimento esterno della chiesa con i caratteri del romanico non richiamano lo stile gotico dell’interno, dove si conservano un bellissimo crocifisso ligneo del Seicento, una stupenda pittura del XVII sec. (la Natività), opera degli artisti Bernardo e Giulio Licinio, un’epigrafe dell’arcivescovo Orsini e delle interessanti lapidi. Si conserva, inoltre, una tela raffigurante il Servo di Dio Francesco Antonio Boccoli, morto nel 1767 e figlio del console sipontino in Ragusa (Dubrovnik). Le sue ossa, che riposano nel monumento eretto in suo onore, furono traslate due volte sotto gli arcivescovi Dentice e Gagliardi.

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Ex fabbriche del Convento di San Francesco

Ex fabbriche di San FrancescoLe superstiti fabbriche dell’ex convento di San Francesco sorgono nella parte Nord Ovest del centro storico di Manfredonia. La struttura originaria del convento, del quale il fabbricato oggetto di intervento costituiva un appendice, era in stile gotico e composta da un chiostro quadrato con cisterna nel mezzo; al primo piano 14 celle, al piano terra 10 sottani, con refettorio, cucina, carboneria, pagliera, magazzino e stalletta. Costruito per opera dell’Arcivescovo di Manfredonia Pietro II nella prima metà del XIV secolo.

Dopo il saccheggio da parte dei Turchi, nel 1620, del vecchio complesso conventuale non rimasero che la chiesa, la sacrestia, le celle, alcuni resti di mura diroccati, il campanile semidistrutto e pochi locali. La chiesa e i locali annessi vennero ripristinati nella seconda metà del 1600 ad opera della cittadinanza. Il complesso religioso venne ricostruito nuovamente nel 1755 dall’ Arcivescovo Rivera, ma dopo poco tempo fu oggetto di vandalismo a causa delle soppressioni francesi che ne imposero la chiusura nel 1809.

Dopo l’Unità nazionale, fine XIX sec., i locali del convento furono dati in concessione ad un mercante genovese e perciò utilizzati come depositi per granaglie. Ancora, nel XX secolo, durante la guerra libica e durante la I° Guerra Mondiale fu sede di un distaccamento di soldati.

Ciò che resta del vetusto fabbricato, costituito da un pianterreno e primo piano, affacciato per tre lati alla via San Francesco, Vicolo Esperia e Vico Clemente, e per il quarto lato in aderenza ad altri fabbricati coevi, risale alla seconda metà del settecento. Il complesso conventuale era attiguo alla omonima chiesa ed era congiunto al suddetto fabbricato superstite da un semplice muro di recinzione, il quale fu demolito in epoca moderna per prolungare verso il monte la via San Francesco. Ciò provocò un grave danno per i fabbricati conventuali che rimasero indeboliti e dissestati, infatti l’ala settentrionale finì per crollare.

Una parte del corpo sporgente di cui innanzi, si ritiene che sia stato costruito successivamente per realizzarvi l’ampliamento del vano a pianterreno indispensabile per inserire la scalinata di accesso al primo piano. Le fabbriche oggi esistenti pervennero al Comune di Manfredonia in virtù del D. R. 28 aprile 1813, confermato con l’altro decreto borbonico 6 novembre 1816, per uso “caserma”.

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Palazzi Storici

Palazzo dei Celestini

Palazzo dei CelestiniL’antico Monastero dei Padri Celestini, risalente al 1350, ha una storia lunga sette secoli. Nella seconda metà del 1700 il vecchio edificio “andato quasi in rovina per l’incuria del tempo e per l’età”, fu demolito e fu cominciato l’imponente edificio barocco, che noi oggi ammiriamo sul Corso Manfredi. I lavori, terminati intorno al 1788, prevedevano al centro della nuova costruzione una chiesa, che non fu mai completata e che oggi ospita l’Auditorium.

A seguito della soppressione della Congregazione dei Celestini, avvenuta tra il 1807 e il 1810, l’edificio fu concesso al Comune di Manfredonia da Gioacchino Murat.

Oggi è sede delle Civiche Biblioteche Comunali.

 

Palazzo San Domenico

Palazzo San DomenicoCarlo d’Angiò alle fine del 1200, donò ai frati predicatori un sito sul tratto costiero delle mura su cui erigere la chiesa dedicata a Maria Maddalena, a cui il sovrano angioino era devoto. Subito dopo ebbe inizio la costruzione del Convento finanziato dal sovrano con un fiorino d’oro a settimana.

Sulla facciata, si ammirano il portale ogivale adagiato su due leoni e la cornice di un rosone, all’interno si notano, nicchie gotiche e affreschi della fine del 1300. Il Convento domenicano, oggi sede del Municipio, è un edificio a loggia. il Palazzo Comunale; già convento dei Padri Domenicani, che alla fine del secolo XIII fino all’epoca napoleonica l’abitarono ufficiando la Chiesa attigua, costruita da Carlo II D’Angiò.

Palazzo De Florio

Casa patrizia del XV secolo, fatta costruire da ricchi mercanti sipontini in contatto con Lorenzo il Magnifico e con i mercanti europei del rinascimento.

Palazzo Delli Guanti

Il pregevole edificio, eretto da Ignazio Delli Guanti nel 1775, sorge in via San Lorenzo e presenta un elegante loggiato con volte a crociera e arcate a tutto sesto.

Palazzo Delli Santi

Palazzo nobiliare del XVIII sec. Sorge in Via Santa Maria delle Grazie e presenta un bel portale di pietra ed una lunga ed elegante balaustra che recinge il terrazzo al primo piano. Ha un androne a botte e cortile con arcate sorrette da colonne. Palazzo Delli Santi, che ospitò il re Ferdinando II, con alcuni affreschi nell’interno, sulla via S. Maria “ruga quae dicitur de Sancta Maria, in Manfredonia”, come leggiamo in un documento del 23 aprile 1292.

Palazzo Nicastro

È un imponente edificio su Via Tribuna, cui si accede salendo due imponenti rampe. Il portale, semplice e massiccio al tempo stesso, conduce all’androne con volta a botte e poi al cortile interno.

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Ipogei Capparelli

Ipogei CapparelliIl complesso cimiteriale costituisce un vero e proprio suburbio nella parte sudoccidentale della città tardo-antica e altomedievale di Siponto.

L’area funeraria sfrutta in modo intensivo e con grande perizia la gibbosità posta ad ovest dell’antico impianto romano, venendone condizionata dal decumano e da un suo diverticolo, nonché dalla presenza di acqua sorgiva, che affiora ancora nell’ipogeo 4, l’unico ambulacro visitabile non oggetto di cavaggio, e che consente per questa circostanza di osservarne le dimensioni originarie.

Note nell’antichità come le grotte di Siponto presero poi il nome della omonima masseria di Capparelli, le cui stalle hanno inglobato i sottostanti ambulacri. Gli ipogei cristiani vengono, forse dopo il XIII secolo, utilizzati come cave di un tufo giallastro simile alla pozzolana, che divenne il materiale da costruzione più utilizzato a Manfredonia.

I due grandi piazzali, comunicanti tra loro, hanno verosimilmente distrutto gli originari accessi scavati nella collina. Gli spazi ampliati con tagli della calcarenite mettono in luce solo ambulacri e arcosolii quali relitti di ipogei oramai solo ipotizzabili oppure non più ricostruibili.

In assenza di importanti elementi datanti, è l’elemento topografico a costituire la base certa per la ricostruzione delle fasi di utilizzo e sembrano indicare nel V e VI secolo d.C. il periodo di sfruttamento più intensivo dell’area.

Un viaggio indietro nel tempo ci porterebbe in una “necropoli”, di tipo misto, cioè con tombe sub­divo, indicate da segnacoli, cippi, iscrizioni; grandi arche e sarcofagi monumentali per i personaggi di spicco o addirittura edicole funerarie, “pergulae”, trichliae, calubae”, per i riti di commemorazione; cancelli, perimetrazioni con bordure dell’ “hortus o agellus” cimiteriale, portici, altari e arcosoli scavati sulle pareti più in vista; tombe più lussuose, coperte da “tegurium o ciborium” (baldacchino), celle, cubicoli ed ambulacri, occupati fittamente da pilae di loculi, chiusi da tegoloni di argilla sovente con iscrizioni sovradipinte, graffiti o addirittura piccoli oggetti di riconoscimento infissi nella calce), forse in qualche tratto coperti da affreschi, e ovunque riverberi di fiaccole e lucerne.

Della decorazione, verosimile, ad affresco, ottenuta con rapide pennellate, graffiti, stampi di argilla, iscrizioni più accurate (in analogia ad es. con qualche tratto delle catacombe di Canosa o Venosa, in ambito daunio­ lucano) nulla è sopravvissuto, ad eccezione di qualche croce greca, di resti di lucerne e ceramiche, di frammenti scolpiti (Ipogei “Scoppa” a Siponto­ villaggio).

L’uso della necropoli di Capparelli cessò probabilmente intorno al X-XI sec. come attestato in altri casi analoghi, per molteplici ragioni, tra cui la principale, la traslazione all’interno della città delle reliquie del corpo santo deposte in origine nel cimitero fuori le mura, dove costituivano il fulcro d’attrazione delle sepolture, che si affollavano infatti intorno al “martyrium” o “ad sanctum”. Probabilmente a partire dal XIII secolo, in occasione della fondazione di Manfredonia, il complesso cimiteriale di Capparelli fu adoperato come principale cava di tufi per costruzione.

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